RISUONANZE
incontri di nuove musiche

RISUONANZE  "numero zero"

                                      

Senti [...], non potresti per una volta comporre qualcosa di brillante e facile da comprendere, qualcosa che non abbia titoli, ma che abbia una autonoma coerenza complessiva, non troppo lungo o troppo corto? Desidero così tanto avere qualcosa di tuo da eseguire in pubblico, qualcosa che incontri i gusti dell'uditorio. È certamente umiliante per un genio ma, per una volta, è la diplomazia a richiederlo.

Sembrerebbero le parole che spesso immaginiamo rivolte oggi da un coscienzioso e generoso interprete a un compositore di musica cosiddetta “contemporanea” (magari neanche tanto genio...) e, invece... ...sono quelle che la celebre pianista Clara Wieck rivolge in una lettera datata 4 Aprile 1839, al suo amato Robert Schumann. Evidentemente, la musica di Schumann presentava tali problemi di comprensione da renderne addirittura difficile la programmazione nei concerti pubblici (e non stiamo parlando di un pubblico di massa in senso moderno). Il “genio” di Schumann non è solo. In seguito all'ascolto di un concerto che la stessa Clara tenne nel 1834, il celebre critico Ludwig Rellstab, scrisse: “Clara ha certamente grande talento, ma è un vero peccato che sia nelle mani di un padre che le consente di suonare assurdità come Chopin”. Ovviamente, esempi analoghi si sprecano.

Ma come, Chopin e Schumann, i due campioni della musica romantica, quella che colpisce direttamente il cuore, quella che da esso sgorga spontaneamente ignorando inutili tecnicismi e astrazioni matematiche, tipiche espressioni di menti aride e finanche crudeli! Il genio è dunque sempre incompreso, inaccessibile ai “comuni mortali”? Riservato a pochi eletti in grado di non bruciarsi le ali nel loro incauto avvicinarsi al suo splendore? Le metafore sono volutamente eccessive, ma descrivono luoghi comuni ancora oggi abbastanza diffusi, come pure sempre più diffusi sono quelli che ne rappresentano l'esatto opposto. Non è detto, ovviamente, che la specialissima creatività di certi autori sia intrinsecamente inaccessibile, per nulla. Moltissimi sono gli aneddoti simili a quelli citati, ma altrettanti potrebbero essere quelli che li confutano o altri che invece testimoniano le profonde incomprensioni che si sono manifestate anche tra grandi musicisti (tra “addetti ai lavori” super specializzati, quindi).

È pur vero però che le opere di certi autori del passato, che oggi ascoltiamo con tutta tranquillità, addirittura come espressione di un pensiero totalmente libero da aride interferenze intellettualistiche (e quindi come esempio di ciò che spontaneamente si tende ad associare all'idea un po' oleografica di musica quale libera espressione naturale e incontaminata dell'animo umano), si rivelano in realtà di grande complessità, sia sul piano tecnico musicale in sé, che in quello culturale extra-musicale in genere, complessità che si scopre essere anche probabile origine delle incomprensioni e/o difficoltà che gli autori hanno incontrato a suo tempo nel far accettare le loro opere a un pubblico un po' più vasto della ristretta cerchia degli estimatori. Tutto ciò è tanto più evidente se si confrontano queste opere con quelle che al tempo erano veramente “alla moda”.

Allora una musica meno piace “ai più” più è geniale? Ovviamente no, anzi, ma è certo che l'immediato consenso di massa, quello che più che mai oggi condiziona i sistemi di produzione di opere per il pubblico, non solo non ha caratterizzato moltissima della produzione della nostra cultura del passato, ma spesso non è nemmeno stato cercato dagli autori. Questo aspetto è molto importante poiché ha condizionato profondamente a suo tempo la concezione e la costruzione di queste opere: non c'è da stupirsi se questo preciso genere di composizioni può avere una certa difficoltà ad imporsi al vastissimo pubblico che oggi è sempre più considerato referente obbligato da chi opera nel campo dello spettacolo musicale.

Se è vero che non necessariamente un'opera incompresa è geniale perché inaccessibile ai “normali”, è però altrettanto vero che un'opera riuscita spesso non viene “compresa” da tutti e subito. Allora quale è la soluzione? Esiste?

Il problema è complesso e probabilmente non esistono soluzioni definitive e universalmente valide, sicuramente non soluzioni semplici. L'ascolto della musica rappresenta da sempre un problema più o meno grande e oggi esso è di inedita dimensione e natura a causa delle caratteristiche totalmente nuove che la nostra cultura presenta sul piano di quello che potremmo cercar di definire come un multiculturalismo simultaneo cronologico e geografico derivante dalle enormi possibilità che ci offrono i nostri mezzi tecnologici e aggravato dal dominio sempre più invadente del mercato di massa (il problema è il “di massa”, non il mercato...).

Che senso ha allora accostare autori di oggi ai colossi del passato? Celebrare un anniversario a mo' di compleanno? Certamente no, però il centenario dei due grandi autori, appena trascorso, proprio a causa della particolare natura degli stessi, oggi quasi paradossale, ha rappresentato un'ulteriore occasione di riflessione sul problema della comprensione della musica. Il senso di questo accostamento può essere quindi, semplicemente, quello di testimoniare una continuità di intenti. Molti autori di oggi non fanno altro che fare ciò che nell'ambito della tradizione europea si fa in campo musicale da moltissimi anni: scrivere un'opera musicale come prodotto di un pensiero che comprende tanto la tecnica musicale in sé e per sé quanto tutti gli aspetti espressivi e culturali, anche extra-musicali, che di volta in volta possono interessare gli autori (compresa la relazione che talvolta emerge, più o meno nitida, con gli autori del passato dai quali volenti o nolenti traggono origine). Come è evidente dall'ascolto dei brani, ciò non ha nulla a che vedere con il recupero di stili d'antan o cose simili, la continuità riguarda piuttosto l'atteggiamento, il pensiero, la concezione del comporre, il tentativo di realizzare “opere compiute” che rappresentino l'autore in tutto e per tutto rendendosi indipendenti dalla necessità di essere compresi da tutti e subito, ma confidando anche sul fatto di poter comunque essere compresi in quanto piccolo ingranaggio di una macchina di complessità enorme qual'è la dimensione culturale dell'uomo. Questo, banalmente, accostando musiche non facili di un tempo con musiche non facili (ma sicuramente più facili di quelle) di oggi.




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